Don’t Play at School

20/03/2014 – 21/05/ 2014

  • Don’t Play at School

    Don’t Play at School

  • Don’t Play at School

    Don’t Play at School

  • Don’t Play at School

    Don’t Play at School

  • Don’t Play at School

    Don’t Play at School

La mostra

Severa e ludica, disciplinata e libera.

La mostra “Don’t play at school” incarna le contraddizioni di un percorso che attraversa le arti e le accademie, tra razionalità concettuale e tecniche d’illecita eleganza. Un viaggio che ammonisce e seduce lo spettatore attraverso i paradossi del gioco e della didattica, rispettando i crismi dell’arte contemporanea. Risorsa privilegiata di apprendimento e di relazioni, il gioco favorisce rapporti attivi e creativi e consente di trasformare la realtà secondo le proprie esigenze interiori, generando attitudini, valori e sensazioni. Il luogo dove queste opportunità nascono è la scuola, un ambiente in cui coercizione e anacronismo portano a maturare rabbia e disimpegno verso mezzi e metodi che, al contrario, l’arte suggerisce e utilizza per offrire una vasta gamma di messaggi e di stimoli, utili alla strutturazione ludiforme dell’attività didattica nei diversi campi di esperienza.

L’infanzia riceve dal gioco e dalla scuola l’insieme di ruoli, regole, strumenti e percorsi che costruiscono uomini e personalità, immaginari collettivi e individuali. Nell’ispirazione di “Don’t play at school”, i divieti che caratterizzano l’educazione infantile si trasformano nel dis-ordine che anima l’arte contemporanea, fatta di riscritture e nuove contestualizzazioni che esplodono in una didattica linguistica e realizzativa in cui l’iperrealismo formale dialoga con un inesplicabile razionalismo per ricreare il senso dell’opera d’arte.

Il rigore mentale che sostiene le opere esposte è beffeggiato dall’imprecisione e dall’ingenuità infantili che travalicano ogni regola per riscrivere la spregiudicata universalità del gioco. In esse appare razionalizzato il mistero della conoscenza in un improbabile quanto divertente vincolo di materie, forme e colori che rivitalizzano l’arte attraverso i sogni illibati di un adulto che, come tutti, è stato un bambino e come un bambino ha conosciuto il mondo, continuando a sperare di non dimenticarsi mai della verità che solo l’innocenza infantile è in grado di conoscere e raccontare.

Opere didattiche che cercano in una democratica quanto contraddittoria ingenuità di riportare a un’audience indiscriminata e globale il fascino delle importanti collezioni pubbliche del Metropolitan e del Whitney Museum di New York, del MOCA di Los Angeles e della Biennale di Venezia.

Gli artisti

Fantasia e tecnica adolescenziali strutturano l’ispirazione matematica e statistica della produzione eco-materica di Greg Colson, le cui opere sono il luogo simbolico in cui i rischi della realtà individualista sembrano svanire, per ricrearsi in un’evoluzione linguistica che mette le basi per l’apprendimento di concetti logico-matematici e relazionali universali.

Il collettivo artistico The Bounty Killart approccia l’arte classica ricontestualizzandola in maniera pedagogica, incorporando strumenti e linguaggi contraddittori e attualizzando i valori e i significati di gioco, regole e cultura in un sensazionale dinamismo.

Una profonda trasmutazione allegorica di miti scolastici è espressa nelle irridenti sculture di Bertozzi e Casoni, che ipnotizzano la caducità esistenzialista dei modelli educativi con l’effimera nobiltà materica delle forme, la cui vera forza risiede nel processo concettuale di creazione artistica.

Le pergamene di Kim Dingle smascherano la realtà attraverso un gioco di contrasti che rimanda al negativo fotografico, in cui l’inversione delle regole priva il gioco del proprio cinismo competitivo con infantile ingenuità, svestendolo di ogni diabolico pregiudizio.

Albert Pinya fa un ritratto dell’infanzia secondo regole accademiche e moderne influenze mediatiche, con sculture e dipinti in cui colori e forme geometriche primitive si risvegliano in psichedeliche cromie contemporanee.

La dottrina inscatolata e collezionata di Peter Wuthrich riporta cultura e conoscenza al popolo, consegnandole alla bacheca della memoria come trofei che conservano l’infanzia di un palmares e lo riscoprono in un libro per adulti che diventa storia, che diviene opera d’arte.

La ricostruzione parallela del mondo seduce attraverso la grande abilità manuale di Nicola Bolla, le cui opere sottolineano il senso di caducità della materia e la dissacrazione delle regole proprie di un’arte che si sostituisce alla scuola nell’insegnamento della realtà.

Bertozzi and Casoni, Nicola Bolla, The Bounty Killart, Greg Colson, Kim Dingle, Albert Pinya, Peter Wüthrich

 

 The show

Severe yet playful, disciplined yet liberated.

The show “Don’t play at school” embodies the contradictions of an itinerary that cuts across arts and academies, conceptual rationality and illicitly elegant techniques. It is a journey that warns and seduces the spectators by way of the paradoxes of games and teaching, and with due respect paid to the proprieties of contemporary art. A special resource for learning and creating relationships, play favours active and creative interconnections and allows us to transform reality according to our interior needs in order to generate attitudes, values, and sensations.

The place where this comes about is school, a setting in which coercion and anachronism lead to the development of anger and disengagement from those means and methods which, on the contrary, art suggests and uses in order to offer a vast range of messages and stimuli: these are useful for a playful construction of teaching-activities in various fields of experience.

Play and school give childhood a series of roles, rules, tools and possibilities that build people and personalities, and collective and individual imagination. The idea behind “Don’t play at school” is that the prohibitions characterizing the education of children are transformed into the dis-order that animates contemporary art, an art which consists of rewriting and creating new contexts that explode into a linguistic and creative way of teaching where formal hyperrealism dialogues with an inexplicable rationalism in order to recreate the sense of a work of art.

The mental rigour behind the works on show is mocked by a childlike imprecision and an ingenuousness that break all the rules in order to rewrite the unruly universality of play. In the works we find a rationalization of the mystery of knowledge in an unlikely yet amusing restriction of materials, forms, and colours that revitalize art. And they do so by way of the pure dreams of an adult who, like everyone else, has been a child and, like a child, has known the world and continues to hope never to forget the truth that only the innocence of childhood can know and recount. These are didactic works which search for a democratic yet contradictory ingenuity in order to bring to an indiscriminate and global audience the fascination of the important public collections of the Metropolitan and Whitney museums in New York, the MOCA in Los Angeles, and the Venice Biennale.

The artists

Adolescent imagination and technique structure the mathematical and statistical inspiration of Greg Colson’s eco-material production; his works are the symbolic place where the risks of individualistic reality seem to disappear in order to recreate a linguistic evolution that provides the basis for learning logical-mathematical and universal relational concepts.

 The Bounty Killart art collective approaches classical art by re-contextualizing it in a pedagogical way, incorporating contradictory tools and languages, and updating the values and meanings of play, rules, and culture in a sensational dynamism.

A deep allegorical transmutation of school myths is expressed in the delightful sculptures by Bertozzi & Casoni; the works hypnotize the existential transience of educative models through the ephemeral material nobility of forms whose real strength lies in the conceptual process of artistic creation.

Kim Dingle’s parchments unmask reality through a game of contrasts that allude to photographic negatives where the inversion of the rules substitutes the competitive cynicism of games with childlike ingenuity and strips them of any diabolical prejudice. Albert Pinya portrays infancy according to academic rules and to modern mass-media influences with paintings and sculptures in which the colours and primitive geometric forms reawaken in contemporary psychedelic hues.  Peter Wuthrich’s canned and collected doctrines bring culture and knowledge back to the people; they do so by being consigned to the showcase of memory as though they were trophies conserving a record of childhood achievements discovered in a book for adults, a book which becomes both a story and a work of art.

 We are seduced by the reconstruction of a parallel world as a result of Nicola Bolla’s great manual ability; the works underline the sense of transience of materials and the desecration of the very rules of an art which takes the place of school in teaching reality.