21/10/2014 – 13/12/ 2014
EFFETTO XEROX
Nadir Valente riproduce la realtà, ma non in HD come ci ha abituato la società consumistica e la cultura dello spettacolo. Non contento, Nadir Valente riproduce la realtà in bianco e nero, che è un altro paradosso dei nostri tempi visto che noi tutti abbiamo un’insaziabile fame di technicolor [Derek Jarman]. Il pregio di Nadir Valente è essere anacronisticamente contemporaneo rispetto all’odierna tecnocrazia: anziché duplicare il mondo in alta definizione – soddisfacendo così la pretesa di “un vero più vero del vero” – l’artista preferisce indagare una realtà in via di definizione.
In un mondo analogico, in cui stentiamo a distinguere ciò che è autentico rispetto a ciò che è falso, inabili a discernere il simulacro dall’originale, l’artista non intende ricorrere a virtuosismi, vuole viceversa riscoprire le qualità “povere” della stampa xerox. Usando formati standard, attenendosi cioè alle regole e ai limiti imposti dal mezzo con cui opera, l’artista realizza degli oggetti, foglio su foglio, o degli ambienti, foglio dopo foglio; il risultato finale è quello di un mosaico di carta, un opus sectile le cui parti (individualizzate e individualizzabili) mettono in evidenza le piccole imperfezioni della grana dell’immagine.
In questo caso specifico, Valente dà origine a un effetto trompe l’œil, convertendo l’interno della galleria di Maurizio Caldirola nell’esterno della Villa Reale di Monza. Ne consegue che l’accesso alla mostra non ci restituisce il tipico “white cube” bensì l’inganno di trovarsi nella corte d’onore della Reggia monzese. Si tratta di una delocazione (per prossimità, in quanto i due edifici distano poche centinaia di metri). Ma si tratta anche di un’opera “di facciata”, nel senso dell’edilizia, con gli avancorpi laterali che avvolgono le pareti della galleria. Ebbene, l’intervento site-specific rende omaggio alla villa da poco riportata al suo iniziale splendore, frutto di un decennale intervento di restauro e riqualificazione che l’ha salvata dall’incuria e dal degrado del secolo scorso. Il progetto architettonico di Giuseppe Piermarini, il cui stile neoclassico risale all’epoca asburgica, viene riproposto/riprodotto in scala, mantenendo la disposizione a ferro di cavallo. Per stratificazione e sovrapposizione, l’artista torinese scambia il dentro con il fuori, vira i colori nella delle vecchie fotocopiatrici d’ufficio e abolisce il divario culturale tra un’istituzione pubblica e uno spazio espositivo privato.
Dichiarando le proprie intenzioni e i relativi limiti delle fotocopiatrici, Nadir Valente verifica un’estetica e una metafisica. Il suo non è il tentativo di tornare all’identico, ma di rendere omogeneo il diverso. Analogo eppure differente: la pelle-epidermide che ne deriva si contrae o si dilata, non già per combaciare con il reale ma per aderire alle contingenze. All’artista non interessa il grado di verosimiglianza, ma il grado di intensità che ne deriva.
A cura di Alberto Zanchetta