Bernardì Roig (Palma di Maiorca, 1965), viene considerato uno dei maggiori scultori spagnoli del suo tempo. Attivo dalla fine degli anni ’80, i suoi soggetti raccontano di un’inquietudine esistenziale che si riflette sui volti delle figure, dove il disagio interiore si manifesta attraverso le espressioni impresse sul volto. Il soggetto non è davanti agli occhi di chi guarda, che può vederne solo la conseguenza, il reale soggetto è nascosto all’interno della scultura, chiuso nella testa. Per la mostra negli spazi di Maurizio Caldirola Arte Contemporanea, Bernardì Roig ha realizzato quattro inediti busti in fusione di alluminio e resina, che sfidano l’osservatore per la propria violenza mostruosa, mettendone alla prova i limiti di sopportazione. ll lavoro di Roig si inserisce nelle ricerche sul linguaggio di artisti come Bruce Nauman e Jasper Johns, con cui condivide la ricerca di una sintesi tra l’opera filosofica di Wittgenstein, in particolare delle Ricerche Filosofiche, ma in questa sorta di mappa della mente che Roig costruisce attraverso le sue teste, l’influsso più visibile è quello di Franz Xavier Messerschmidt (Wiensensteig, 1736), una delle figure più enigmatiche del XVIII secolo. Messerschmidt Lavorava in un periodo in cui il più alto modello per uno scultore era l’arte classica, esattamente quando il culto dell’antichità era diventato più intenso che mai e il suo gusto e il suo stile erano allineati con quelli del suo tempo. Nel 1771 soffrì di un violento esaurimento nervoso da cui non riuscì mai a riprendersi. Trovò sollievo lavorando ad una serie chiamata le “teste di carattere”, modellate sul suo stesso aspetto, che gli sarebbero servite come talismani contro i demoni che lo tormentavano, invidiosi delle sue capacità tecniche. Rabbia, disperazione o risate irrefrenabili, Messerschmidt impersonava le emozioni e le riproduceva con un realismo assolutamente inedito, tentando poi di darne un lettura psicoanalitica. Ma quello che Messerschmidt aveva lasciato era semplicemente la testimonianza, senza alcuna spiegazione, di una serie di maschere.
Roig ritorna a riprendere quei volti esattamente dove Messerschmidt li aveva lasciati: un uomo che combatte contro qualcosa che è dentro la sua testa, fa sue le smorfie dello scultore austriaco per inserirle in un contesto dove i demoni che tormentano l’uomo sono differenti, ma il risultato è sempre quello di una fondamentale incapacità di esternare questa battaglia se non attraverso l’espressione del suo volto. Nel lavoro di Messerschmidt esiste una forte componente autobiografica, le sue teste i suoi volti rappresentano sempre lui o in alcuni casi lui che interpreta differenti personaggi. Roig utilizza una testa, un volto che non è il suo, per costruire un codice con cui decifrare le ossessioni e i demoni che non raccontano più una storia personale, ma un’immagine collettiva dove riconoscere i frammenti di sé e ricostruirli, nella propria testa.
*Estratto del testo critico di Daniele Sorrentino